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Epatite C: cosa fare in caso di sospetta infezione


Qualora una persona si ritenga a rischio di infezione o abbia il sospetto di essere venuta a contatto con il virus dell’epatite C ( HCV ), è importante che si sottoponga ad una visita medica per ricevere un’appropriata diagnosi e conoscere le opzioni di trattamento.

E’, pertanto, raccomandabile sottoporsi ad analisi del sangue che permetteranno di comprendere se il soggetto è stato esposto al virus HCV, dal momento che in molte persone infettate non si manifesta alcun sintomo, mentre il virus sta già provocando danni a livello epatico.

Esistono diversi tipi di test che consentono di identificare il tipo di virus HCV infettante e di stabilire una strategia di trattamento che meglio si adatti al paziente.

Tra i test sierologici, trovano ampio impiego i test ELISA ( Enzyme Linked Immunosorbent Assay ) e RIBA ( Recombinant Immunoblot Assay ).

Il test ELISA, mediante l’impiego di un enzima specifico, identifica la sostanza caratterizzante l’infezione o l’anticorpo che si produce in risposta ad essa.

Il test RIBA è un saggio di tipo qualitativo che rileva anticorpi specifici prodotti contro gli antigeni del virus HCV.
E’ un test impiegato, in passato, per confermare i risultati del test ELISA, ma attualmente il saggio immunoenzimatico è diventato sempre più preciso, riducendo il numero di falsi positivi e la necessità di ulteriori conferme.

Entrambi i saggi identificano la presenza degli anticorpi anti-HCV prodotti dal sistema immunitario del paziente in seguito all’infezione, ma non sono in grado di quantificare la presenza del virus nel sangue in quel momento.

Nel caso in cui il test ELISA non sia praticabile è possibile eseguire un altro test di tipo qualitativo: la PCR ( Polymerase Chain Reaction ).
Si tratta di una tecnica che rileva la presenza di materiale genetico virale ( RNA ) a livello plasmatico.

La caratterizzazione del genotipo del virus consente di identificare il virus infettante.
Esistono almeno 6 genotipi differenti del virus HCV, con una differente distribuzione geografica.
I genotipi maggiormente diffusi sono 1, 2 e 3, mentre i genotipi 4, 5 e 6 sono localizzati principalmente in aree geografiche specifiche.
Negli Stati Uniti, il 72% circa delle persone infettate da HCV ha il genotipo 1, ed i restanti sono infettati per lo più dai genotipi 2 e 3.
I genotipi 4 e 5 sono maggiormente diffusi in Africa.

La genotipizzazione del virus è importante al fine di stabilire la strategia terapeutica ottimale, sulla base della potenziale risposta al trattamento dei differenti genotipi.
Il genotipo 1, ad esempio, richiede 48 settimane di trattamento farmacologico, mentre i genotipi 2 e 3 possono richiedere periodi terapeutici più brevi.
Tuttavia, non ci sono evidenze conclusive sul fatto che il genotipo infettante influenzi la gravità o l’outcome ( esito ) della malattia o il rischio di trasmetterla.

Nei casi di infezione da HCV è possibile sottoporsi a test di funzionalità epatica, il test ALT ( alanine-aminotransferase ).
Si tratta di un esame compiuto su campioni di sangue dove i livelli di enzima alanina-aminotransferasi indicano lo stato di danneggiamento del fegato.
Tuttavia, molti pazienti con infezione da HCV hanno livelli di alanina-aminotransferasi nella norma.

Il metodo migliore per stabilire il grado di danneggiamento epatico è l’esame bioptico.
L’esame consiste nel prelievo di una piccola porzione di tessuto epatico sulla quale viene effettuato l’esame istologico.
Attualmente, la biopsia viene effettuata ambulatoriamente sotto anestesia locale, mediante inserimento di un ago nella regione interessata al prelievo.

In seguito ad esame bioptico è possibile misurare il danneggiamento epatico mediante dei punteggi che lo stratificano per gravità.
Allo stadio I, il fegato risulta infiammato, ma non è ancora cicatrizzato.
Allo stadio II, il fegato è infiammato e la cicatrizzazione inizia a formarsi in una regione.
Lo stadio III è caratterizzato da più zone cicatrizzate interconnesse tra loro, che portano ad una fibrosi avanzata.
In questa fase, si riduce la capacità del fegato di far circolare il sangue e di rimuovere le tossine.
La cirrosi è una fase di cicatrizzazione avanzata che caratterizza lo stadio IV, nel quale vengono fortemente compromesse le capacità funzionali del fegato.
In questo stadio, il grado di danneggiamento epatico è molto elevato.

L’obiettivo del trattamento dell’epatite C è quello di rallentare o di fermare la progressione della malattia, ritardando la cicatrizzazione, prevenendo la cirrosi ed il carcinoma epatico.

La biopsia epatica è essenziale per monitorare periodicamente l’epatite C.

Esistono, inoltre molti altri test per immagini meno invasivi che consentono di controllare la progressione dell’epatite C, come l’ultrasonografia e la tomografia computerizzata ( scansione CT ), mentre la risonanza magnetica per immagini ( MRI ) è utile per diagnosticare un carcinoma epatico.

Anche il rilevamento degli elementi chimici presenti nel sangue, la conta piastrinica ed il tempo di protrombina sono test che permettono di valutare le condizioni del fegato.
Tuttavia, nessuno di questi test, da soli o in combinazione, possono valutare pienamente il grado del danno epatico o di fibrosi.

Qualora venisse diagnosticata un’infezione da HCV, è raccomandabile introdurre alcuni cambiamenti nelle proprie abitudini di vita, come smettere di fare uso di sostanze alcoliche e di droghe iniettabili, seguire un più idoneo regime alimentare e svolgere una regolare attività fisica finalizzata a migliorare lo stato di salute fisico e mentale.

Inoltre, è raccomandabile sottoporsi a trattamento terapeutico, anche se in assenza di sintomi, poiché rappresenta la migliore strategia per prevenire futuri o ulteriori danni al fegato.
A tal proposito, sulla base del genotipo virale infettante, verrà indicato il trattamento più adatto al paziente.

Un altro aspetto da considerare quando si viene a contatto con l’infezione da HCV è la responsabilità che si ha nei confronti delle persone con le quali si è a contatto che devono essere preservate dalla potenziale infezione.
E’ da evitare la condivisione di oggetti personali ( es. spazzolino da denti, rasoi ) che potrebbero contenere tracce invisibili di sangue infetto.
Un’altra buona norma comportamentale è quella di proteggere eventuali tagli e ferite scoperte.
E’ opportuno, inoltre, che il paziente informi del suo stato di salute chiunque possa venire a contatto con il suo sangue ( es. familiari, personale medico, il proprio partner sessuale ).

E’ da evitare la donazione di sangue, di organi, di midollo, di ovuli e di liquido spermatico.( Xagena2005 )

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